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Ciao, come stai?
Come sempre, non è solo una domanda di circostanza, mi fa piacere sentirti. Se ti va di mandarmi un saluto ti basta rispondere a questa email.
Io tutto bene e ti scrivo ancora dalla soleggiata e ventosa isola di Creta. Giorno dopo giorno stiamo assorbendo il ritmo lento e ciclico del piccolo villaggio in cui viviamo. Un po’ come il movimento delle onde che fanno da sottofondo alle giornate. Onde e un’infinità di cicale (molto suggestive eh, però nei meeting di lavoro sembra di essere in mezzo al campionato mondiale di maracas). Ti lascio qualche descrizione in più nella sezione “Luoghi”.
A dire la verità è un po’ strano per me ritrovarmi su quest’isola. Camminare di nuovo negli stessi posti che esattamente due anni fa ho abitato e che hanno segnato l’inizio ufficiale del nostro nomadismo digitale (se ti piacciono i flashback, qui trovi la newsletter di quel momento).
Anche ad allora stavo lavorando da remoto, insieme alla mia ragazza, e con tutto quello che la mia mente da ventenne poteva desiderare. E proprio due anni fa, quando pensavo di avere tutto, ho iniziato a sentiere un vuoto dentro. Qualcosa mancava, dov’era quel senso di felicità e beatitudine che tanto avevo agognato? “Ma come, ho raggiunto ogni traguardo che mi ero posto e comunque mi manca qualcosa? Mi devo quindi rassegnare ad una vita insoddisfatta?”.
Non è proprio quello che si immagina di pensare dopo aver finalmente “lasciato tutto” e ritrovarsi su un’isola mozzafiato, no? Non fraintendermi, anche due anni fa mi sono goduto Creta e il suo mare. Non voglio farti pensare che ho passato settimane rannicchiato in un angolo dell’appartamento con le luci spente. Però, è stato senza dubbio un periodo difficile. Al punto da portarmi ad iniziare un percorso di psicoterapia che fino a quel momento per me era un completo tabù (se ti interessa, qui ne avevo parlato nello specifico).
“Vabbè, a parte questi bei momenti Amarcord, chemmivuoidì in questa newsletter?”
Ottima domanda! Voglio proprio partire dall’essermi accorto che oggi, dopo due anni, quel famoso vuoto non è sparito. E anche adesso che, di nuovo, sono su questa bella isola e non mi manca niente, è ancora qui con me. Però (e forse la vita è proprio fatta di una serie di grandi però…), sento di riuscire a conviverci meglio. Come un compagno di viaggio scontroso, musone e spesso frustrante, ma che in fondo è diventato a modo suo parte del viaggio.
E cosa è cambiato in me per riuscire a supportare meglio questo vuoto? Ci ho pensato parecchio in questi giorni e provo a lasciarti alcuni cambi di prospettiva sulla vita che ho notato in me negli ultimi due anni.
1 - Accettare di essere limitati, anche nel riconoscere i nostri limiti.
Può sembrare banale, ma ti assicuro che due anni fa questa idea dell’essere limitato, per quanto razionalmente mi tornava, non riuscivo proprio a mandarla giù. Davanti ad ogni mio limite pensavo subito “come posso superarlo?”. E appena intravedevo un possibile miglioramento nella mia vita, ecco che scattava il “come posso ottenerlo?”.
E non sto dicendo che sono pensieri da contrastare a tutti i costi, anzi, questo approccio mi ha permesso di fare tanti passi in avanti di cui sono molto grato. Però, è bene inserire tra il riconoscimento di un limite e la ricerca di una soluzione le domande “posso superare questo limite?” e “voglio superare questo limite?”. Eh si, perché purtroppo, o per fortuna, siamo esseri limitati e certi limiti sono parte della nostra natura, non possiamo farci niente (in primis la nostra morte). Triste? Forse, però senza questa consapevolezza mi sono ritrovato in un’infinito sforzo per superare ogni limite, illudendomi che sarebbe arrivata una fine (situazione che nel lungo periodo è ancora più triste di accettare di essere limitati).
2 - La vita non è un’occasione per dimostrare il proprio valore, ma la possibilità di esplorare il mondo e se stessi.
Sono cresciuto con l’idea che nella vita c'è chi ce la fa e chi no. Chi passa l’esame e chi no. Chi vince e chi perde. E ho sempre cercato di finire nel primo gruppo, di dimostrare il mio valore. Per un po’ di anni questo approccio ha funzionato abbastanza. Ovviamente ogni tanto mi sono ritrovato a “perdere”, ma sempre in maniera contenuta e parziale. Ho perso una battaglia, ma non la guerra… si dice così, no?
Non so se è questo è stato causato dalla cultura occidentale in cui sono cresciuto, da un’inclinazione personale o dal caso… Però, questo vivere per “dimostrare di essere degni” a se stessi e agli altri ad un certo punto è diventato troppo pesante e faticoso. Mi sentivo come se fossi sempre in gara contro qualcuno, anche solo me stesso. E appena superi il tuo avversario, ecco che ne scorgi un nuovo in lontananza davanti a te… e via che la sfida ricomincia, si continua correre (un po’ più veloce questa volta eh!).
Anche in questo caso, razionalmente è chiaro che sia falsa l’idea di dover sempre “correre”. Però, almeno per me, è stato faticoso smettere di crederci ad un livello più profondo (devo tuttora ricordarmelo spesso). Darmi la possibilità di approcciare il mondo sapendo di “valere” a prescindere e quindi di poter curiosare liberamente senza giudizi o paragoni.
3 - Tutte le cose materiali che ci circondano hanno molto, ma molto, meno importanza di quanto crediamo.
C’è poco da fare, viviamo in una “società del consumo” (almeno nei paesi sviluppati occidentali). Ogni giorno riceviamo da tutte la parti piccole (e anche grandi) spinte a comprare, avere, possedere, ottenere, migliorare, aggiornare, velocizzare, ottimizzare… (vabbè ci siamo capiti).
Tutte spinte che si reggono su una chiara promessa “se ottieni questa cosa/condizione/status/esperienza” allora sarai felice/contento/senza dolore. Non a caso lo stratega che è in me ha disegnato il “piano perfetto”, la lista di “cose che voglio ottenere per essere felice”. Una lista di cose e esperienze che volevo raggiungere. Ovviamente tutti obiettivi “smart”, chiari, oggettivi e misurabili. E poi? Come ti raccontavo sopra, quando sono riuscito a ottenere tutte le cose nella lista… dov’era la tanto sperata felicità e pienezza? Non c’era, anzi, è emerso ancora più forte quel famoso vuoto (che non aveva niente a che fare le cose materiali).
Citando il buon Jim Carrey, “spero che tutti possano diventare ricchi e famosi ed avere tutto quello che hanno sempre sognato, così scopriranno che quella non è la risposta che stavano cercando”. Io ci aggiungerei “e spero che scoprano che ricchezza, fama, cose, esperienze e ecc. non sono la risposta anche prima di dedicare anni e anni per raggiungerle.
4 - Se cerchi, fuori da te stesso, qualcuno o qualcosa che ti faccia sentire bene, finirai con una dolorosa delusione o, peggio, una complicata dipendenza.
Questa si spiega abbastanza da sola (spero). Ci tengo a sottolineare l’ultima parte sulla “dipendenza”, visto che è un tema che sto approfondendo in diversi libri di filosofia (si non mi è ancora passato il trip filosofico).
A volte ci diciamo “vabbè io ci provo a ottenere quella cosa, non so se mi renderà felice, alla peggio mi becco una bella delusione e vado avanti…”. In effetti non c’è niente di male a porsi un obiettivo per rendere la nostra vita migliore, anzi. Però, se in questo processo ci convinciamo che raggiungere questi obiettivi ci farà sentire bene con noi stessi, il rischio è di non smettere più e trasformare gli obiettivi in una vera e propria dipendenza.
Sopratutto se poi questi obiettivi li raggiungiamo (che essi siano legati a soldi, fama, famiglia, sport o altro) aumenta ancora di più il rischio di identificarci con questi e una volta spartita quella condizione (“tutto cambia, nulla è immutabile”) sentirci completamente persi e in cerca della prossima “dose”.
Insomma, per quanto non sia facile da accettare, l’unico modo per stare bene con noi stessi è cercare dentro di noi (ovviamente le cose, le esperienze e le persone essere ottimi alleati per farlo. Non serve per forza ritirarsi in una grotta da soli per cercare dentro di noi, anzi).
5 - Soffrire, avere dubbi, avere paura. Tutto ciò fa parte della vita e, spesso, non sono sintomi che qualcosa non va in noi.
Ho l’impressione che nella società in cui viviamo ci sia un forte stigma verso il “dolore psicologico”, tutti quei pensieri che ci fanno stare male e ci mettono in crisi. Sotto sotto pensiamo che se stiamo male, allora c’è qualcosa che ci manca (vedi punto sopra) o, peggio, c’è qualcosa di sbagliato in noi. E visto che entrambe le ipotesi non ci piacciono, cerchiamo di “togliere di mezzo” quei pensieri in qualche modo.
Infatti, oggi più che mai ci siamo dotati di strumenti che possano anestetizzare questo dolore distraendoci. Un semplice tocco su uno schermo, ed ecco che ci immergiamo in una dimensione di distrazione e passivo ascolto. Un modo facile e indolore per mettere a tacere quei dannati pensieri e paure. E se proprio la sofferenza è troppo forte, abbiamo un’ampia gamma di distrazioni più potenti: alcol, droghe, app di incontri, videogiochi, bungee jumping, viaggi organizzati, lavorare h24, e via dicendo. Non che queste cose siano negative di per se, ci mancherebbe, ma è l’uso ai fini di anestetizzare il dolore che ci fa cadere in trappola.
Ma, dal mio punto di vista, tutto questo circolo vizioso si può fermare se mettiamo in dubbio l’iniziale idea che “pensieri dolorosi = sto male, devo cambiare qualcosa”. A volte è così (vedi per esempio i casi patologici), ma spesso quel dolore è assolutamente normale. Anzi, è proprio ciò che ci spinge a ricercare e riflettere su di noi e sul mondo. Senza quel dolore, sarebbe impossibile vivere l’altra faccia della medaglia, la felicità.
Vabbè dai, fermiamoci qui che sennò veramente finisco a fare il buddhadenoialtri… Spero che queste riflessioni personali (e che diffido da prendere come vere, anzi) siano state interessanti e magari ti aiuteranno per farne delle tue.
Ovviamente, se ti va di condividere qualsiasi idea e parlarne insieme, ti basta scrivermi. Mi farebbe molto piacere!
Ci leggiamo presto,
Davide
I miei progetti
👉 Life Design Program
È uscita una nuova newsletter su un tema non banale e che ha grandi impatti sulle decisioni che prendiamo nella vita (se non sei ancora iscritto alla newsletter del Life Design Program… cosa aspetti?)
Libri
📚 La parola a don Chisciotte di Rick Dufer
Cosa direbbe don Chisciotte, Seneca o Lord Voldem…(meglio non pronunciarlo) se fossero intervistati sulle loro vite? Questa è la curiosa premessa di questo libro, a metà tra saggio filosofico e racconto comico.
📚 Quando muori resta a me di Zerocalcare
Beh, come sempre sono di parte, ma anche questo ultimo graphic novel mi è piaciuto e mi ha lasciato qualcosa. In questa opera, Zerocalcare parla di relazioni, di silenzio e di famiglia.
📚 The Woke Salaryman Crash Course on Capitalism & Money di The Woke Salaryman
Questa è la prima raccolta di fumetti realizzata da dei geniali ragazzi di Singapore che ci parlano in modo semplice e diretto di economia, finanza personale e mondo del lavoro.
📚 Scarcity Brain di Michael Easter
Oggi, molto di noi, non hanno più il problema della sopravvivenza. Cibo, riparo e sicurezza sono facili da ottenere (se non garantiti dallo stato). Però, per millenni non è stato così e il nostro cervello si è adattato a vivere con poche e imprevedibili risorse. Oggi viviamo nell’abbondanza, ma continuiamo a seguire logiche legate alla scarsità (per esempio l’obesità come fenomeno sempre più diffuso). Nel libro l’autore prova a spiegarci come funziona il nostro cervello e come non cadere nella trappola del “mai abbastanza”.
📚 L'arte di amare di Erich Fromm
Bellissimo libro del 1956 e ancora molto attuale. Cosa significa amare? Che differenza c'è tra amore e innamoramento? Si può amare se non si viene ricambiati? Tutte difficili domande che lo psicologo Fromm ci aiuta a scandagliare.
📚 Creative Confidence di Tom Kelley
I fondatori di IDEO, uno dei più famosi studi di design al mondo, spiegano come la creatività si possa allenare e sfruttare nella vita di tutti i giorni. Sfatiamo il mio della persona creativa che ha necessariamente un talento innato e passa le giornate a “fare arte”. La creatività è una parte fondamentale di ognuno di noi ed è importate riconoscerla e coltivarla.
Luoghi
Creta, Grecia
🎒 Matala
Non ha perso il suo fascino Matala in questi due anni. Sempre bello immergersi in un'atmosfera rilassata e un po’ hippie. Siamo stati fortunati a partecipare anche al “Matala Beach Festival”. L’esperienza di ascoltare dal vivo un band tributo agli AC/DC mentre si sta facendo il bagno in mare è stata davvero indimenticabile!
🎒 Caverna di Zeus
Hai presente il signore barbuto, un po’ largo di spalle e con la saetta in mano? Ebbene si, proprio lui. Ci siamo inoltrati in una camminata che ci ha portato fino ad una grotta dove si pensa sia nato il buon Zeus (mica l’ultimo arrivato!).
🎒 (Wind)Surf Beach
Un’altra chicca, tra i vari posti che abbiamo visitato, è stata passare un’intera giornata di relax a guardare persone da tutto il mondo praticare windsurf. Abbiamo scoperto questa spiaggia (il cui nome già lascia abbastanza indizi) dove da più di vent’anni si è creata una vera e propria community di appassionati di vela su tavola che scheggiano come pazzi da una parte all’altra del mare. Molto suggestivo (sopratutto se si rimane tranquilli in spiaggia a mangiarsi un bel gyros).
Cose interessanti, riflessioni e domande
💡 Uomini e donne nello sport
Ad oggi gran parte degli sportivi più famosi e seguiti sono uomini. Una prima spiegazione potrebbe essere che gli uomini sono biologicamente più forti, veloci e ecc. (pensiero che grazie alla mia ragazza ho realizzato essere molto superficiale e sessista). Facendo un po’ di ricerca mi ha colpito questo studio in cui è emerso che guardando diversi atleti, le persone giudicano migliori le prestazioni degli uomini solo quando è possibile osservare il genere dell’atleta. Quando questo viene oscurato, in media uomini e donne vengono giudicati allo stesso livello (sportivamente parlando). Pian piano forse ce la facciamo a diventare una società meno sessista… speriamo.
💡 Dovere o volere?
Quante volte ci ritroviamo a dire “devo fare…”, “questo è da fare…”, “dovresti fare così…” e via dicendo? Mi sto sempre più convincendo che nella vita non siamo tenuti a fare nulla, ma proprio nulla. Qualcuno ci può forzare o convincere a fare qualcosa, ma non potrà mai obbligarci a pensare che “dobbiamo farla”. Cosa ne pensi?
💡 La vita non è un viaggio, ma una danza
Un amico mi ha fatto scoprire il filosofo e scrittore Alan Watts e mi hanno toccato davvero molto i suoi ragionamenti. Qui un bell’esempio in cui si sceglie la danza come metafora della vita.
Una fotografia
Ribellarsi.
Bali, Indonesia. 2022.
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